I migliori album del 2018 (4): Spain – Mandala Brush (Glitterhouse)

Per quanto io sia parecchio affezionato agli Spain, confesso di avere sbuffato quando nell’elenco delle recensioni assegnatemi per questo numero ha fatto capolino “Mandala Brush”, disco che certamente avrei ascoltato comunque ma di cui francamente non avevo granché voglia di scrivere. Perché, insomma, che noia doversi occupare sempre degli stessi nomi, un’uscita via l’altra, e tanto di più quando l’artista o il gruppo in questione ha trovato una sua strada, definendo un canone sin dalle prime opere e quindi a quello attenendosi, al massimo con aggiustamenti marginali. Diciamolo: a oggi l’album indispensabile degli Spain era quel “The Blue Moods Of” con cui esordivano nel ’95 declinando un peculiare slowcore intriso di jazz in forma di canzone. Se i due lavori successivi svoltavano verso una sorta di folk-rock “da camera”, il gruppo di Josh Haden (figlio di artista e che artista, il compositore e contrabbassista Charlie Haden) trovava poi una sintesi cui restava fedele. Da lungi non inventavano nulla gli Spain. E che poteva inventarsi il critico chiamato immancabilmente a scriverne?

Ebbene: non avrebbe potuto sbalordirmi di più, “Mandala Brush”, album “vero” numero sette per la compagine di Los Angeles e questo sin da un’inaugurale Maya In The Summer con ritmica marziale, chitarre acustiche flamencate, elettriche toste e sinuose e marcate suggestioni Love a permearla. Perfetta introduzione a un capolavoro di psichedelia senza tempo con uno zenit da togliere il respiro nei quindici minuti di una God Is Love fra Popol Vuh e Third Ear Band e a ricordare gli Spain che furono giusto una You Bring Me Up che parte romantica e si impenna errebì e, qui e là, qualche schizzo di jazz. Il loro disco più atipico finisce per diventare il più bello, come minimo alla pari con il lontano debutto.

Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.404, dicembre 2018.

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